Come direbbe il buon Achille Lauro “Ci son cascato di nuovo“.
Abbiamo approfittato di un altro Natale pandemico per prendere il volo e dirigerci il più lontano possibile – nei limiti consentiti dalla normativa vigente, secondo l’art. n. 305, G.U. Serie Generale, 24.12.2021. [https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=84681#articoli].
Così, senza troppo indugio, abbiamo deciso di trascorrere queste feste tra la natura incontaminata dell’Arcipelago delle Azzorre: prati verdissimi, paesaggi mozzafiato, mucche pezzate e tanto, tantissimo vento.
Niente abbuffate natalizie in famiglia dunque – mamma perdonami – ma nuovi luoghi da visitare e una cultura gastronomica da esplorare.
Allacciate le cinture, che in quanto a tempeste di vento, nel mezzo dell’Atlantico non si scherza…Pronti?! Si parte!
QUEIJADA DA VILA DO MORGADO (o Villa Franca do Campo)
Questi deliziosi dolcetti dalla texture unica sono tipici dell’Isola di São Miguel, la più grande dell’arcipelago delle Azzorre. Si dice che le prime Queijadas siano state create dalle suore del Convento de Santo André seguendo un’antica ricetta conventuale del XVI secolo a base di latte, uova (principalmente tuorli) e zucchero semolato. Ed è proprio il modo di trattare quest’ultimo ingrediente, che rende le Queijadas così soffici e irresistibili: i denti affondano nello strato superficiale di zucchero a velo e trovano subito sotto un paradiso di morbidezza. Dolcissime e buonissime, perfette se accompagnate da una tazza del tradizionale Chá.
Se inizialmente la produzione era limitata alla piccola cittadina di Vila do Morgado, questi dolcetti sono stati così apprezzati nel tempo, da diventare richiestissimi in tutto l’arcipelago. Attualmente infatti vengono prodotte in grandi quantità nell’omonima fabbrica a Vila Franca do Campo e esportate in tutte le Azzorre nel loro caratteristico incarto bianco scarlatto.
Non solo è molto facile imbattersi nelle Queiadas nei bar e nelle pasticcerie delle isole limitrofe, ma le vedrete esposte in bella vista anche al supermercato e persino in aeroporto, nelle pratiche scatoline da 4 o 6 dolcetti. Inutile dire che ci siamo riempiti le valige di tutte queste primizie, proprio qualche minuto prima di imbarcarci sul volo di ritorno.
CORNUCOPIA
Alzi la mano chi di voi non ha avuto una nonna che preparava il tuorlo con lo zucchero per colazione? “Mangia tutto, così diventi grande”.
Nel mio caso non ha funzionato molto, in termini di crescita staturale… ma riuscite a ricordare la bontà di questo “zabaione analcolico”?
Ecco, se siete per un attimo tornati indietro nel tempo, quando il problema più grosso era svegliarsi presto per andare a scuola, questo dolce è ciò che fa per voi.
Tuorlo e zucchero mischiati vigorosamente per ottenere una cremina setosa, posta all’interno di un cornetto croccante a base di farina, burro, strutto, zucchero, pane tostato e mandorle grattugiate. Questo dolcetto da passeggio è originario dell’Isola di Terceira, la seconda più popolata dopo Sao Miguel, e si consuma tipicamente durante le feste di Natale. La sua caratteristica forma di corno, simbolo di abbondanza e prosperità fin dai tempi dell’antica Grecia, ha reso la cornucopia un ottimo modo per augurarsi buone feste.
BOLO DONA AMELIA
Il Bolo Dona Amelia è una gustosa crostata a base di farina di mais e farina di grano, in cui si amalgamano i sapori decisi dell’uva sultanina e del cedro candito, arricchiti dal gusto inconfondibile della cannella e della noce moscata. Un gioco di spezie e di consistenze racchiuse in un tortino all’apparenza semplicissimo, che dice tanto della storia di Terceira e del suo ruolo centrale nel commercio delle spezie in Europa.
La tradizione racconta che questa ricetta fosse stata creata per omaggiare la Regina Dona Amelia e il Re Don Carlos, in visita nella capitale Angra do Heroismo nel lontano 1901. Anche se la ricetta originale parla di una torta vera e propria, oggi è più facile trovare questo goloso connubio di sapori sotto forma di “bolo”, pasticcino – per così dire -, della dimensione perfetta per una golosa merenda.
BOLO LEVEDO
Il Bolo Lêvedo, anche conosciuto sotto il nome di “Muffin portogehse” è molto più di un pane dolce. L’impasto a base di farina di frumento rimane soffice come una nuvola e il sapore delicatamente dolce fa sì che questa pagnottella sia adatta per colazione, accompagnata da burro, marmellata o miele, ma sia altrettanto perfetta in abbinamento a uova strapazzate e preparazioni salate di ogni tipo.
Insomma, il Bolo Levedo sta bene con tutto e, a dirla fino in fondo, è buono anche da solo.
Non è raro trovarlo nel cestino del pane sui tavoli dei ristoranti, cosa che mi ha reso particolarmente felice per tutta la durata della vacanza. Questo pane è tipico di Furnas, località dell’Isola di Sao Miguel conosciuta per le sue “Caldere”, sorgenti d’acqua calda termale che sgorgano dai terreni sulfurei – gioia dei turisti in cerca di ristoro e relax -, ma la sua versatilità ha fatto sì che non potesse mancare in ogni angolo dell’arcipelago.
Il segreto della sua morbidezza sta proprio nella tecnica utilizzata per la sua preparazione: un tempo le pagnotte venivano cotte in forni a legna all’interno di contenitori di argilla, oggi invece le pastelerie tradizionali usano cuocerle direttamente sulla piastra. Questo consente di ottenere un involucro croccante esterno, con il tipico colore tendente al “bruciacchiato”, mantenendo la parte interna soffice – mentre il resto lo fanno il latte ed il burro presenti nell’impasto.
Sarete felici di infarinarvi un po’ i polpastrelli, nel tentativo di farcirlo letteralmente con qualsiasi cosa.
ANANAS
Fermi tutti: posso spiegare.
L’ananas non è un dolce. L’ananas è un frutto, lo so. Se provassero a “spacciarmelo” come dolce, ci rimarrei davvero male… Ma qui nelle Azzorre non è infrequente trovare, tra i vari dessert proposti nel menù dei ristoranti, una freschissima fetta di Ananas. Ma partiamo dal principio.
Prima di tutto, vi siete mai fermati a contemplare il verde brillante delle foglie delle palme di Ananas? No? Beh, nemmeno io.
Ho dovuto compiere 30 anni per imparare che – no – l’ananas non nasce dalle palme (quello è il cocco) e che gli alberi di Ananas non esistono. Questo frutto cresce dal basso – e no – non immaginatelo come una carota col ciuffo verde che spunta dal terreno.
Le piante di ananas sono originarie del Centro e del Sud America e sono state importate nelle Azzorre solo nel XIX secolo, grazie all’idea imprenditoriale di Augusto Arruda. Il Dr. Arruda, infatti, convertì la vecchia proprietà di famiglia dove originariamente si coltivavano arance, nella più famosa piantagione di ananas dell’Isola di Sao Miguel. Per ricreare un clima adatto, si avvalse di vere e proprie serre, che mantenessero il caldo-umido necessario per la crescita questo prodotto. Ad oggi le serre sono diventate a tutti gli effetti un’attrazione turistica, che vi consiglio di non tralasciare.
All’interno del piccolo shop adiacente alla piantagione potrete acquistare, oltre agli esemplari di ananas (non proprio adatti per essere trasportati in aereo), un’infinità di altri prodotti a base di questo frutto esotico: dal liquore, alla confettura – perfetta da accompagnare ai formaggi locali – al chutney, alla mostarda e persino all’olio d’oliva aromatizzato.
Quanto al gusto, l’ananas delle Azzorre è leggermente diverso da quello cui siamo abituati: aromatico, meno dolce e a tratti quasi piccante. Allora, vi va una bella fetta di ananas come fine pasto?
TÈ (Chá)
Dopo una carrellata di “boli” e dolcetti di ogni tipo, non ci resta che chiudere il cerchio con una bevanda nobile e dall’eleganza senza tempo, perfetta per accompagnare la nostra raccolta di piccola pasticceria.
Parliamo di Tè. O meglio, parliamo di Chá.
Ebbene, forse non tutti sanno che São Miguel è l’unico posto in Europa dove si produce tè. Per essere più precisi, le uniche due piantagioni commerciali d’Europa si trovano sulla costa settentrionale dell’isola: la Fabbrica di Porto Formoso e la Gorreana, la più antica delle due – fondata nel lontano 1883.
Oltre agli splendidi panorami verdeggianti di piantine che si estendono a perdita d’occhio fino al blu dell’Oceano Atlantico – che già di per sé valgono il viaggio -, all’interno delle fabbriche è possibile visitare lo spazio museologico, per vedere da vicino tutti i processi e i macchinari coinvolti nella produzione di questa bevanda così amata nel mondo. Il tè verde è il più diffusamente coltivato, ma viene prodotto anche il tè nero in varie qualità. Al termine della visita potrete concedervi una degustazione completa di tutte le tipologie di tè prodotte, con miscele create a partire da foglie a diverso grado di “maturazione”, che conferiscono al prodotto finale aromi e persistenze decisamente uniche.
Disclaimer: il poco spazio rimasto in valigia è stato saturato da N confezioni di tè, da portare in omaggio a parenti e amici del continete.
Miglior acquisto ever: tè all’ananas di Gorreana Factory… più tipico di così!