Se vi dico “caffè”, senz’altro penserete a un espresso ristretto, servito in una tazzina calda. Amaro, se vi ritenete dei veri estimatori, macchiato o con lo zucchero, per i palati più delicati.
“Il caffè buono come in Italia, all’estero non si trova”.
Mario Rossi, cuggino professionista
Ed è proprio questo luogo comune che vorrei sfatare.
Ho provato caffè imbevibili in alcuni bar “sedicenti napoletani” e mi sono innamorata di miscele ricercate in posti sperduti, che non avevano niente a che vedere con la tradizione partenopea. La chiusura mentale è sempre uno svantaggio. I dogmi anche. Viaggiare mi ha fatto capire che non esiste un modo giusto di stare al mondo: ogni popolo ha il suo equilibrio, il suo stile di vita, la sua cultura e un modo di vivere la quotidianità che ci può insegnare molto, se interpretato con la giusta chiave di lettura. Ma torniamo a parlare di caffè.
In Italia lo prendiamo in una minuscola tazzina, spesso al volo al bancone di un bar, prima di andare al lavoro. “Un caffè, per favore” “Un euro, grazie”.
A New York, scorrono litri di caffeina rovente, portati in giro in grossi bicchieri compostabili, coperti con un cappuccio di plastica.
In Turchia e in Grecia il caffè somiglia più ad un tè: si ottiene mettendo la polvere – che si accumula poi sul fondo della tazza -direttamente in acqua bollente e si sorseggia, con inspiegata lentezza, rigorosamente seduti al tavolo, atto che lo rende quasi un rituale.
Tutto questo per dire che non esiste una sola maniera di bere caffè, e soprattutto che il caffè espresso è solo uno dei tanti modi di declinare questa bevanda.
Io ho iniziato tardi a bere caffè, più per esigenze di studio, che per vero piacere. Lo prendo dolce, molto dolce, e macchiato, molto macchiato. A dire il vero, prediligo il cappuccino e pertanto non sono la persona più indicata per affrontare questo delicato argomento. Per questo mi lascio guidare da Mr, uno sperimentatore curioso e appassionato: la persona con meno pregiudizi che io conosca, nella vita e nell’approccio ai sapori nuovi. Grazie a lui sto scoprendo un mondo che non conoscevo: quello degli specialty coffee.
Sono sicura che il signor Mario Rossi mai si sognerebbe di ordinare al ristorante del semplice “vino”, senza curarsi di esprimere una preferenza circa la tipologia, le caratteristiche, l’uvaggio se non addirittura l’etichetta. È altrettanto probabile però che non riservi la stessa cura alla scelta del caffè, che per noi italiani solitamente non va oltre la dicotomia “amaro” o “zuccherato”. Eppure lo spettro di gusti e sentori percepibili in un buon caffè è tranquillamente assimilabile a quello del vino: con un minimo di impegno, curiosità e pratica è possibile elevarne la degustazione ad un altro livello e imparare a conoscere meglio le proprie preferenze; a questo proposito, mi piacerebbe condividere con voi ciò che ho imparato finora.
Il gusto di un caffè è il risultato di un lungo processo che parte dalla coltivazione e termina con l’estrazione.
Il primo tra gli elementi che lo caratterizzano è senza dubbio la tipologia: arabica – chicco di forma allungata con l’iconico taglio centrale ricurvo, si coltiva tra i 600 ed i 2400 metri di altitudine (generalmente sopra i 1000) e si distingue per una maggiore aromaticità e la piacevole nota acida che conferisce alla degustazione – oppure robusta – chicco più tondeggiante con il taglio dritto, si coltiva tipicamente sotto gli 800 metri di altitudine ed è riconoscibile per la corposità ed i sentori terrosi, legnosi.
A seconda del metodo utilizzato per separare la polpa dei chicchi dall’involucro esterno, distinguiamo poi caffè naturale (categoria in cui per semplicità facciamo rientrare anche honey processing e fermentazioni varie) e caffè lavato: il primo sfrutta l’esposizione diretta al sole per essiccare la drupa esterna in modo da facilitarne la rimozione, Il secondo invece, a seguito di una prima fase meccanica di rimozione dell’involucro, prevede un periodo di immersione dei chicchi in acqua. Una delle differenze principali tra questi due metodi di lavorazione è il periodo che il chicco di caffè passa a contatto con la cosiddetta mucillagine (o polpa): una sorta di membrana zuccherina che fermentando conferisce i sentori di frutta matura – talvolta quasi vinosi, spesso definiti funky – caratteristici dei caffè naturali. Al contrario, il metodo lavato, permette di ottenere tazze molto pulite in cui si apprezzano a pieno il gusto originale e i sentori primari del caffè utilizzato.
Il viaggio attraverso la costruzione del bouquet aromatico di un caffè passa inoltre attraverso il processo di tostatura: giocando con intensità, velocità, temperatura e omogeneità della stessa, il torrefattore sceglie di valorizzare determinati sentori ed attenuarne altri. Generalmente tostature più gentili (e.g. tostatura chiara) tendono ad preservare la naturale aromaticità del frutto – esaltando di fatto la componente acida e floreale, mentre al contrario (e.g. tostatura scura) si va verso caffè più corposi con accento sulla parte amara – com’è tipico ad esempio nel caffè espresso servito in sud Italia.
Per finire, un’ultima distinzione utile da tenere a mente è quella tra blend e monorigine: come è facile intuire dal nome, il primo termine identifica una miscela di caffè differenti, tipicamente realizzata allo scopo di ottenere un determinato set di caratteristiche selezionate dal torrefattore; un monorigine, al contrario, è un caffè realizzato esclusivamente con chicchi della medesima provenienza, in cui l’intento è di valorizzare al massimo le caratteristiche proprie di una specifica piantagione.
La macinazione dei chicchi – da effettuarsi preferibilmente al momento del consumo – dovrebbe poi essere funzionale al metodo di estrazione con cui il caffè viene servito: una polvere più o meno fine ha una resa diversa se utilizzata per un espresso o un filtrato. Sui metodi di estrazione si potrebbe aprire una parentesi che probabilmente richiederebbe un blog post dedicato: vi basti sapere che ne esistono svariati (con i relativi strumenti e marchingegni) e si differenziano in base al principio su cui fanno leva, principalmente percolazione (o dripping), infusione o pressione.
Se, come mi auguro, vi sentite un po’ più inclini ad abbandonare le vostre certezze in materia di caffè e avete voglia di immergervi in questo viaggio culturale, nei prossimi post vi suggeriremo qualcuno dei nostri posti preferiti per scoprire il caffè in una veste diversa da come lo avete sempre concepito.
E dopo tutta questa lunghissima “lezione”, sono certa che avete proprio bisogno di un buon caffè per tirarvi su!
Che bello Aliiii, hai un bellissimo stile 🌻
Grazieee! ❣️